di Geraldina Colotti
Barbara Spinelli, dell'associazione Giuristi democratici, è autrice del libro Femminicidio (Franco Angeli).
Con quale valenza - le abbiamo chiesto - può essere impiegato in Italia un neologismo che richiama la strage delle donne di Ciudad Juarez, in Messico?
«L'eredità delle donne del Sudamerica, che con quel termine indicavano l'assassinio brutale di una donna - ci ha risposto -, è stata impiegata diversamente.Il femminicidio riguarda ogni forma di violenza fisica o psicologica commessa contro la donna in quanto tale quando rifiuta di aderire al ruolo che la società patriarcale vorrebbe imporle (moglie, madre, oggetto sessuale). Non implica solo l'atto commesso da un singolo uomo, ma tutti quelli attuati dalla cultura patriarcale, assunta a modello di riferimento dai media. Atti in cui viene annientata non solo la fisicità della donna, come nell'omicidio, ma anche la sua soggettività: violenze e discriminazioni, anche di stampo istituzionale, più sottili e difficili da individuare, che ledono la dignità e la libertà della donna.
Non c'è il rischio di cadere nel vittimismo? Il movimento delle donne in Italia ha riflettuto altrimenti sulla libertà femminile.
So che c'è questo rischio, dovuto anche all'impiego da parte di organizzazioni come l'Udi che, nella campagna «stop femminicidio» hanno banalizzato la storia delle donne che c'era dietro. Per evitare questo, nel mio libro ricostruisco la genesi del termine in quanto strumento di lotta e di liberazione. E mi auguro che non venga usato per adottare politiche protezionistiche. Io parto dal concetto che il compito delle istituzioni è quello di promuovere l'autodeterminazione della donna, non trattarla come soggetto debole.Trovo però che un certo femminismo italiano sia stato molto chiuso in se stesso o comunque sensibile solo alle influenze colte. Si è creata, in passato, una discrasia tra una produzione alta e accademica del pensiero femminista, e la condizione delle lotte per la rivendicazione dei diritti. La lotta contro il femminicidio, oltreché battersi per prevenire la violenza sulle donne, indica che violenza e discriminazione di genere, qualsiasi forma assumano, hanno alla base un pensiero che non riconosce nella donna un soggetto alla pari, non le riconosce la dignità di persona. E quindi è necessario cambiare il mondo e la società in cui viviamo: in maniera radicale, a partire dalle relazioni fra i generi e dalla relazione di potere fra i generi.
Come può darsi questa radicalità nella situazione italiana?
Se il femminicidio è un fatto politico che riguarda tutta la società, non ci si può attestare sulla singola azione o sul singolo disegno di legge. Il richiamo non è a un diritto legato a un'appartenenza, come quello degli anziani, ma al concetto di diritti umani fondamentali della persona. La posizione di subordinazione occupata dalle donne è frutto di una relazione di potere diseguale che si è costituita storicamente e viene perpetuata attraverso l'indifferenza istituzionale verso tutte le tematiche che riguardano i diritti delle donne. Riporto un fatto sconosciuto ma che è diventato il punto centrale della mia battaglia come giurista democratica. La Cedaw è l'organismo che, a livello mondiale, rappresenta una carta dei diritti umani delle donne, ratificata anche dal Messico e dall'Italia. Non è protetta come le altre da una corte internazionale, ma prevede che i governi ogni quattro anni facciano un rapporto al comitato sulle azioni positive promosse in ogni campo per garantire l'autodeterminazione della donna ed eliminare le forme di discriminazione. Tutti i governi in tutti i siti delle Pari opportunità pubblicano questi rapporti che mandano al comitato, ma nessuno mai e in specie il governo italiano ha tradotto o diffuso le raccomandazioni che provengono dal comitato della Cedaw.
Ad esempio?
L'introduzione della nozione di violenza di genere nella legislazione. Un codice di autoregolamentazione dei media perché cessino di ritrarre la donna in ruoli stereotipati... Ma ben poco potrà farsi senza la forza delle donne. Si porta spesso ad esempio positivo la legge spagnola sulla violenza sulle donne, ma non è piovuta dal cielo. Le spagnole, il 25 di ogni mese, in ricordo della giornata internazionale contro la violenza delle donne, andavano a manifestare alla Porta del sol rivendicando la necessità di politiche di contrasto. Il movimento femminista italiano ha riacquistato una compattezza, una presenza sebbene minima solo a partire dalle manifestazioni dell'anno scorso in difesa dell'autodeterminazione e dell'aborto. È un peccato che noi non siamo riuscite a scendere in piazza in maniera così decisa e tempestiva come hanno fatto gli studenti, perché avevamo ben più argomenti per farlo: a partire dal ddl Carfagna sulla prostituzione, ma anche prima col governo di centrosinistra...
Manifesto, 22 novembre 2008
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