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A questo link il testo integrale della sentenza.
Invito a leggere con attenzione i motivi di ricorso dell'imputato, classico esempio di difesa che utilizza argomentazioni palesemente sessiste nei contenuti.
Nel primo motivo di ricorso alla Suprema Corte, per asserire l'insussistenza del reato di violenza sessuale, l'imputato si difende utilizzando il solito vecchio leitmotiv della VIS GRATA PUELLAE, ancora quotatissimo nelle aule di tribunale, come ampliamente ho già commentato in altre sedi.
( "E' infatti ipotizzabile che l'atteggiamento della donna, in costanza di normali rapporti accettati e voluti, sia stato male interpretato dall'uomo, che non voleva violentare la moglie ma solo forzare la sua ritrosia femminile. L'insistenza dell'uomo può configurare i maltrattamenti se la donna si senta sminuita e maltrattata per il mancato rispetto. Nella specie invero la condotta del marito, che usava modalità irrispettose per ottenere prestazioni sessuali, non integra il reato di violenza sessuale perchè a tali modalità non si accompagnava una condotta violenta o minacciosa. Non vi è nessuna prova che fra i coniugi vi siano stati rapporti sessuali violenti").
Con il secondo motivo di ricorso il difensore dell'imputato sostiene che la violenza assistita NON sia una forma di violenza e dunque non integri il reato di maltrattamenti nei confronti dei minori !(fino a quando mi chiedo? - Santa Ignoranza che tutto rende possibile- e per fortuna ci sono fior fiore di pubblicazioni scientifiche sul tema, che studiano i traumi dei bambini che assistono agli episodi conflittuali tra i genitori !) .
(Il motivo di ricorso è "manifesta illogicità della motivazione laddove riconosce il reato di maltrattamenti nei confronti dei figli minori per il solo fatto che gli stessi abbiano potuto assistere ai maltrattamenti del padre nei confronti della madre. La stessa Corte d'appello ammette che i due episodi contestati (lo schiaffo alla figlia e il furto con il figlio) non integrano il reato di maltrattamenti ma lo ha condannato perchè avrebbe fatto assistere i figli ai maltrattamenti nei confronti della madre. Sennonchè non vi è alcuna prova di tale circostanza, che è stata presunta sulla base della sola convivenza dei genitori con i figli, senza che vi fosse una dimostrazione che i figli avessero assistito alle scene di gelosia del padre").
La Suprema Corte, per quanto concerne il primo motivo di ricorso, è netta nel sancire che non esiste nessun diritto all'amplesso, neppure in ambito coniugale.
E, il numero di femminicidi per mano di partner nel 2008, è triste segno del fatto che, ancora nel 2009 , siano i Tribunali a dover sancire i principio di autodeterminazione sessuale delle donne nel rapporto di coppia. Perchè mariti, conviventi, fidanzati, compagni, lo negano. Anche ricorrendo alla violenza.
("Il primo motivo è infondato. Invero, secondo la costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, "in tema di reati contro la libertà sessuale, integra la violazione dell'art. 609 bis cod. pen. qualsiasi forma di costringimento psico - fisico idonea ad incidere sull'altrui libertà di autodeterminazione, a nulla rilevando l'esistenza di un rapporto di coppia coniugale o paraconiugale tra le parti, atteso che non esiste all'interno di un tale rapporto un diritto all'amplesso, nè conseguentemente il potere di esigere o imporre una prestazione sessuale" (Sez. 3^, 4.2.2004, Riggio, m. 228448). Inoltre "in tema di reati contro la libertà sessuale, nei rapporti di coppia di tipo coniugale non ha valore scriminante il fatto che la donna non si opponga palesemente ai rapporti sessuali e li subisca, quando è provato che l'autore, per le violenze e minacce precedenti poste ripetutamente in essere nei confronti della vittima, aveva la consapevolezza del rifiuto implicito della stessa agli atti sessuali.(Nella fattispecie sì trattava di due episodi di violenza sessuale, perpetrati dal marito nei confronti della moglie - dalla quale viveva da anni separato - costretta ad incontrarlo a seguito di ripetute minacce di morte e di comportamenti aggressivi)" (Sez. 3^, 7.3.2006, Mansi, m. 234171).
Nel caso di specie la Corte d'appello, con un apprezzamento di fatto adeguatamente e congruamente motivato, e quindi non censurabile in questa sede, ha accertato che l'imputato non si era limitato - come si sostiene nel ricorso - ad usare modalità irrispettose nei riguardi della moglie per ottenere prestazioni sessuali, ma aveva messo in atto un vero e proprio regime dispotico, connotato da vessazioni, arroganza, percosse, proibizioni ed imposizioni di ogni genere, ed in particolare aveva più volte compiuto comportamenti minacciosi (anche con armi), intimidatori ed anche violenti al fine di ottenere rapporti sessuali, essendo ben consapevole (se non altro a causa della frequenza degli episodi) dell'opposizione e comunque della volontà contraria della moglie ad avere tali rapporti, la quale peraltro, pur senza opporre una resistenza fisica solo per non provocare violente reazioni da parte dell'imputato, manifestava comunque, magari anche solo con gesti, il proprio dissenso in modo inequivocabile.")
Per quanto riguarda il secondo motivo, la Corte invece si dimostra del tutto incapace di riconoscere i contorni del fenomeno della violenza assistita, da altra giurisprudenza anche della stessa Corte già riconosciuta altre volte invece come una forma di maltrattamento nei confronti dei minori che integra il reato di cui all'art. 572 c.p.
La motivazione della Corte è censurabile sotto molteplici profili, specialmodo per quanto riguarda la sussistenza dell'elemento soggettivo,individuato nella " coscienza e volontà di sottoporre i figli ad una serie di sofferenze fisiche o morali in modo continuato". E' evidente infatti la consapevolezza e l'accettazione, da parte del coniuge maltrattante, di infliggere una sofferenza psichica ai figli lasciando che gli stessi assistano - o non impedendo che gli stessi non assistano- alle condotte maltrattanti poste in essere nei confronti della coniuge.
("E' invece fondato il secondo motivo. La Corte d'appello, invero, ha dato atto che non risulta nemmeno ipotizzato o contestato che l'imputato avesse posto in atto violenze nei confronti dei figli. La Corte d'appello ha anche esattamente ritenuto che non potrebbero integrare il reato di maltrattamenti verso i figli, se non altro per mancanza di abitualità, i due singoli episodi contestati, se singolarmente considerati, ossia il fatto di avere schiaffeggiato in una sola occasione per futili motivi la figlia minore ed il fatto di avere costretto il figlio ad aiutarlo nell'esecuzione di furti presso un centro commerciale. La Corte d'appello ha invece ritenuto che il reato di maltrattamenti nei confronti dei figli fosse integrato dalla ripetitività degli atti vessatori compiuti ai danni della moglie perchè questi erano stati posti in essere nell'abitazione coniugale e perciò "sicuramente anche in presenza dei figli minori", con ciò realizzando un sistema di vita che aveva arrecato anche ai figli continue sofferenze morali.
Si tratta però - come esattamente lamenta il ricorrente - di una motivazione apodittica e meramente apparente. Manca invero qualsiasi motivazione non solo sull'esistenza dell'elemento psicologico del reato (costituito dal dolo generico consistente nella coscienza e volontà di sottoporre i figli ad una serie di sofferenze fisiche o morali in modo continuato) ma anche sull'esistenza della prova che gli atti di maltrattamento nei confronti della moglie fossero diretti anche nei confronti dei figli o comunque della prova che i maltrattamenti della moglie fossero compiuti sistematicamente ed in modo abituale alla presenza dei figli e che questi avessero effettivamente ed abitualmente assistito agli atti di gelosia ed alle altre vessazioni compiuti dal padre verso la madre. La Corte d'appello ha infatti ritenuto che gli atti vessatori in danno della moglie siano stati compiuti "sicuramente" alla presenza dei figli, ma si tratta di una circostanza solo apoditticamente ipotizzata, in ordine alla quale non viene fornito alcun elemento di prova acquisito al processo").
Un neologismo per dire basta ad ogni forma di discriminazione e violenza posta in essere contro la donna "in quanto donna". Perchè le donne non debbano più pagare con la vita la scelta di essere sè stesse, e non quello che i loro partner, gli uomini o la società vorrebbero che fossero.
giovedì 23 luglio 2009
Non esiste un diritto all'amplesso coniugale. E ce lo devono ancora ricordare i Tribunali.
2009, Italia.
Cassazione, sez. III penale, Sentenza 18 marzo - 25 giugno 2009, n. 26345.
Non esiste un diritto all'amplesso nella coppia. E non è un fatto notorio.
Che una donna con un partner stabile abbia ancora il diritto all'autodeterminazione sessuale, deve stabilirlo ancora un Tribunale.
Che quando una donna dice no è no, e ogni atteggiamento volto con minacce, pressioni, intimidazioni, ricatti, ingiurie a far diventare quel no un si è violenza sessuale, ce lo deve dire un Tribunale.
E si va avanti fino all'ultimo grado di giudizio, la Cassazione.
Ma quella stessa Corte che dimostra ormai una maturità giuridica in materia di violenza sessuale, anche consumata tra coniugi e tra le pareti domestiche, non si dimostra altrettanto attenta al problema della configurazione giuridica del reato di maltrattamenti in famiglia nei confronti dei minori nelle ipotesi di violenza assistita.
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