FEMMINICIDIO

mercoledì 13 gennaio 2010

CEDAW E VIOLENZA DI GENERE: DAL LOCALE AL GLOBALE

Ecco perchè l'anniversario dei 30 anni dall'adozione della CEDAW dovrebbe farci interrogare non solo sulla condizione delle donne nel mondo, ma nello specifico sulla condizione delle donne in Italia, sui desideri delle giovani donne, sulle difficoltà di essere donne straniere, irregolari o apolidi, precarie, emancipate nel pubblico ma sottomesse nel privato, o viceversa.

Quelle che propongo di seguito non sono riflessioni da G8, niente j'accuse a chi poteva fare e non ha fatto, niente chiamata all'armi alle italiane inerti, che va così tanto di moda tra le intellettuali femministe radicalchic. In questi due giorni ci saranno solo sollecitazioni a riconoscere la discriminazione nel quotidiano, esercizio che dovrebbe essere condiviso da ognuno/a di noi, a partire da sè e dalle proprie relazioni. E ci saranno informazioni su come si possa utilizzare il diritto internazionale per denunciare tali discriminazioni.


E' con queste idee per la testa, ed altre, che mi accingo ad affrontare gli incontri di oggi a Bologna e di domani a Ravenna con Rashida Manjoo, Special Rapporteur ONU contro la violenza sulle donne in Italia, e altre valenti relatrici.

Niente sciarpe bianche, niente braccialetti da G8, niente mercificazione delle idee, solo tanta voglia di ascoltarsi e mettere in rete competenze e sapere, che generano possibilità di autodeterminazione per le donne.

Barbara Spinelli


Le donne di tutto il mondo negli ultimi due secoli hanno intrapreso con forza un percorso politico e giuridico volto all’affermazione che i diritti delle donne sono diritti umani.
Ad oggi, vi è una consapevolezza diffusa di tale principio, che è stato assunto come fondante sia dagli organismi internazionali sia da numerosi stati, che si sono impegnati ad attuarlo in concreto ratificando la CEDAW e/o le varie Convenzioni regionali che affermano i diritti fondamentali delle donne.
Tuttavia, nonostante la consapevolezza diffusa del fatto che la donna sia una Persona, e dunque, alla pari dell’uomo, portatrice di una sfera di dignità, di libertà, di integrità psico-fisica inviolabile, e nonostante tale principio sia stato giuridicamente codificato, assistiamo a palesi violazioni dei diritti umani delle donne in tutto il mondo, per il solo fatto di essere donne.
In tutto il mondo, la prima causa di morte per le donne è il femminicidio.
In tutto il mondo, anche nei Paesi laddove i principi della CEDAW sono stati declinati in una normativa interna “di pari opportunità”, di fatto la donna viene ancora discriminata ed è soggetta a violenza quotidiana.
L’Italia è un esempio significativo (vedasi le Raccomandazioni del Comitato per l’applicazione della CEDAW).
Il perché della persistenza e della pervasività delle discriminazioni e violenze di genere, si rinviene in un fattore comune: la persistenza e la pervasività di una mentalità patriarcale, che attraversa tutte le culture, ed è volta al controllo della donna come “risorsa creativa”, come “fattrice”, e dunque come perno della famiglia e della società stessa.
Fino a quando, in nome della religione o in nome del bene superiore della collettività, gli Stati sacrificheranno la libertà e l’autodeterminazione della donna alla tutela della “morale” e della “famiglia”, alla protezione della donna in funzione del suo ruolo sociale di madre e moglie, i diritti fondamentali delle donne continueranno ad essere calpestati.
Gli Stati che hanno ratificato la CEDAW e le altre carte regionali, si sono assunti un obbligo ben preciso: adoperarsi affinché le donne abbiano cittadinanza, ovvero affinché possano in concreto godere dei loro diritti fondamentali. Il che implica per lo Stato l’obbligo di attivarsi per rimuovere le situazioni discriminatorie non solo attraverso modifiche normative ma anche e soprattutto promuovendo un cambiamento culturale, riconoscendo che la libertà di scelta della donna, la sua integrità psico-fisica, sono valori assoluti, che vanno riconosciuti senza compromessi.
Dove vi è una connivenza istituzionale al machismo, alla misoginia, a patriarcato, vi è una responsabilità di Stato. In Messico, il femminicidio è un crimine di Stato. Ma non solo, l’elenco degli “stati canaglia” che opprimono le donne sarebbe lungo.
La nostra responsabilità, in quanto donne e in quanto attiviste, è grandissima: ognuna di noi è chiamata sul proprio territorio a reclamare che il silenzio e l’inattività degli Stati di fronte alle discriminazioni e violenze di genere che si consumano nei propri confini è una violazione dei diritti umani, che lede non solo le donne ma l’umanità tutta, perché ostacola lo sviluppo della democrazia e produce disuguaglianza e perdita di opportunità.
Mettersi in rete, invocando ognuna nei propri Paesi il rispetto e l’attuazione dei principi sanciti dalla CEDAW, significa essere unite nella lotta alle discriminazioni e violenze di genere, e impegnarsi concretamente per una società migliore, libera da ogni forma di oppressione.

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