“Femminicidio” (edito da Franco Angeli) è un libro ‘scomodo’, a partire dal titolo, un neologismo ancora poco usato, di quelli che Word segna come errore, legato nell’immaginario alla strage delle donne di Ciudad Juarez negli anni novanta. Non è semplicemente il femminile di omicidio, ha un significato politico più profondo. Se è vero che dare un nome ad un’ingiustizia è il primo passo per iniziare a combatterla, il libro di Barbara Spinelli, giovane studiosa, attivista femminista e collaboratrice coi Giuristi Democratici, è uno strumento utile per far luce su una realtà, quella della violenza contro le donne, conosciuta ancora troppo superficialmente.
Ciò che sta a cuore all’autrice è ricostruire la storia del percorso di rivendicazione dei diritti delle donne a partire dal concetto di femminicidio, per evitare che continui ad essere definito ‘delitto passionale’ o ‘frutto di raptus’, prodotto da ignoranza e da follia. “Femminicidio si ha – sostiene la Spinelli – in ogni contesto storico o geografico, ogni volta che la donna subisce violenza fisica, psicologica, economica, normativa, sociale, religiosa, in famiglia e fuori. Quando non viene riconosciuta come soggetto, quando le viene negato il diritto di andare contro il ruolo imposto dalla società e di autodeterminarsi”.
Come dire che il macroatto di violenza (l’assassinio della donna) non è separato dai microatti di pratiche discriminatorie in ambito familiare o istituzionale (dalle pressioni psicologiche, alle percosse, alle mutilazioni, all’impunità/corruzione/connivenza istituzionale) e il filo rosso, la radice alla base della violenza, è da individuare, per l’autrice, nel sistema patriarcale vigente. A partire dall’origine del termine, come categoria criminologica utilizzata dalle femministe centroamericane per denunciare la strage di donne di Ciudad Juarez negli anni novanta – caso emblematico immortalato nel film Bordertown – , Barbara Spinelli ricostruisce la storia del movimento contro il femminicidio e della sua espansione in America Latina e oltre, per definirne il percorso verso il riconoscimento giuridico internazionale, come crimine contro l’umanità.
Alla puntuale analisi storica – correlata di schede informative sulle indagini criminologiche negli stati latinoamericani e dai dati del dibattito europeo sul riconoscimento politico e giuridico del femminicidio – si affiancano pagine più ‘calde’ dedicate alla femminista messicana Marcela Lagarde e all’incontro con alcune attiviste, accomunate dalla fermezza nella lotta, “dalla contadina alla deputata”. Contro la superficialità e il sensazionalismo che di solito accompagnano il tema della violenza contro le donne, “Femminicidio” si presenta come un valido strumento per affrontare l’argomento in modo più chiaro e organico, nella consapevolezza che “non è solo l’uomo che uccide, è l’ideologia patriarcale, riprodotta da uomini, donne, istituzioni”. (irene sandei)
Ciò che sta a cuore all’autrice è ricostruire la storia del percorso di rivendicazione dei diritti delle donne a partire dal concetto di femminicidio, per evitare che continui ad essere definito ‘delitto passionale’ o ‘frutto di raptus’, prodotto da ignoranza e da follia. “Femminicidio si ha – sostiene la Spinelli – in ogni contesto storico o geografico, ogni volta che la donna subisce violenza fisica, psicologica, economica, normativa, sociale, religiosa, in famiglia e fuori. Quando non viene riconosciuta come soggetto, quando le viene negato il diritto di andare contro il ruolo imposto dalla società e di autodeterminarsi”.
Come dire che il macroatto di violenza (l’assassinio della donna) non è separato dai microatti di pratiche discriminatorie in ambito familiare o istituzionale (dalle pressioni psicologiche, alle percosse, alle mutilazioni, all’impunità/corruzione/connivenza istituzionale) e il filo rosso, la radice alla base della violenza, è da individuare, per l’autrice, nel sistema patriarcale vigente. A partire dall’origine del termine, come categoria criminologica utilizzata dalle femministe centroamericane per denunciare la strage di donne di Ciudad Juarez negli anni novanta – caso emblematico immortalato nel film Bordertown – , Barbara Spinelli ricostruisce la storia del movimento contro il femminicidio e della sua espansione in America Latina e oltre, per definirne il percorso verso il riconoscimento giuridico internazionale, come crimine contro l’umanità.
Alla puntuale analisi storica – correlata di schede informative sulle indagini criminologiche negli stati latinoamericani e dai dati del dibattito europeo sul riconoscimento politico e giuridico del femminicidio – si affiancano pagine più ‘calde’ dedicate alla femminista messicana Marcela Lagarde e all’incontro con alcune attiviste, accomunate dalla fermezza nella lotta, “dalla contadina alla deputata”. Contro la superficialità e il sensazionalismo che di solito accompagnano il tema della violenza contro le donne, “Femminicidio” si presenta come un valido strumento per affrontare l’argomento in modo più chiaro e organico, nella consapevolezza che “non è solo l’uomo che uccide, è l’ideologia patriarcale, riprodotta da uomini, donne, istituzioni”. (irene sandei)
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