FEMMINICIDIO

venerdì 25 settembre 2009

Minnesota: nel 2007 5 femmicidi al giorno

Ruben Rosario: Violence against women: just too much
And it's more proof violence against women must be stopped


By Rubén Rosario

Fonte: http://www.twincities.com/allheadlines/ci_13406157?nclick_check=1
Updated: 09/23/2009 11:43:38 PM CDT

We're not No. 1. We're not No. 1. We're No. 34. In this case, it's really bad coming in first.
But 34 out of 50 is no cause for celebration, either, considering the subject matter.
So what am I talking about here?
I'm talking about Minnesota's 2007 ranking in the number of homicides of women by their spouse or intimate partner per capita, according to a report released this week by the Violence Policy Center. There were 1,865 such killings nationally in 2007, roughly five each day.
Louisiana ranked first in the nation, according to the nonprofit think tank's analysis of the latest and most complete FBI-compiled homicide data. Illinois ranked last. Wisconsin tied at 37 with Connecticut.
The report strictly limited itself to one-victim/one-offender incidents. In spite of the limitations, the report confirms and underscores a sad truth: We often hurt — if not kill — those we supposedly love.
The report's key findings include:
For homicides in which the victim/offender relationship could be identified, 91 percent of female victims (1,587 of 1,743) were killed by someone they knew.
More than 10 times as many females were killed by males they knew (1,587 victims) than were killed by male strangers (156 victims).
For those who knew their offenders, 62 percent (990) of female homicide victims were wives or intimate acquaintances of their killers.
There were 315 women shot and killed by either their husbands or intimate acquaintances during an argument.
For homicides in which the weapon used could be identified, 51 percent of female victims (847 of 1,657) were killed with guns. Of these, 76 percent (640 victims) were killed with handguns. There were 353 females killed with knives or other cutting instruments; 116 were killed by a blunt object; and 227 were killed by bodily force.
Now, a qualifier. The Violence Policy Center is an unabashed and unapologetic advocate for strict gun restrictions.
"Firearms are rarely used to kill criminals or stop crimes," the report states. "Instead, they are all too often used to inflict harm on the very people they were intended to protect."
Regardless of what we may feel about the Second Amendment or gun ownership, there is no question about the accessibility of firearms playing a key role in such fatalities.
"What the report points out is consistent in what we have seen over the years," said Liz Richards, director of programming for the Minnesota Coalition for Battered Women.
The coalition's annual "femicide" reports, which include domestic-related slayings of children and other relatives, reveal that 47 percent of the 63 women slain in Minnesota from 2006 to 2008 were killed with a firearm.
But there's a larger factor to this perennial slaughter. It is not solely about firearms. Quite a number of female victims are stabbed, choked and bludgeoned to death. It is also not about state rankings, but about state of mind.
We are a culture that has not rid ourselves of the mind-set that women are inferior and still somehow possessions or personal property.
One telling statistic points this out: Of the 21 domestic-related killings of women last year in Minnesota, 68 percent of the victims were either separated from their killer or attempting to leave at the time of their murders.
In its prelude to the femicide reports, the coalition challenges communities, among other measures, to enact and effectively enforce and prosecute laws to better protect women and children. But it's the call for prevention education for all elementary and secondary students that caught my eye.
I frankly believe that education starts in the home and at an early age. We need to inoculate boys early in life, teaching them to respect women and treat them as equals.
And we need to tone down the media images and the songs and the commercials that continue to objectify women.
Perhaps that will help reduce the annual carnage.
Rubén Rosario can be reached at 651-228-5454 or rrosario@pioneerpress.com.
Violence Policy Center's state rankings report: vpc.org
Minnesota Coalition for Battered Women's femicide reports: mcbw.org

mercoledì 23 settembre 2009

Interrogazione parlamentare contro la violenza sulle donne

Accolgo con favore l'interrogazione parlamentare, perchè è opportuno evidenziare le contraddizioni nella forma e nella sostanza delle politiche adottate da questo Governo in materia di violenza sulle donne.
Aggiungerei anche il rimando alle severe Raccomandazioni inidirizzate all'Italia dal Comitato per l'applicazione della CEDAW (Convenzione per l'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna), ed in maniera particolare alla n. 12 con cui:
" Il Comitato si rammarica per lo scarso coinvolgimento delle ONG"
ed alla n. 38 con cui:
" Il Comitato richiede allo Stato membro di assicurare un’ampia partecipazione di tutti i ministeri ed enti pubblici nella fase preparatoria del suo prossimo rapporto, e di consultare le ONG".
* * *
L’on. Susanna Cenni del Pd e altre deputate Pd hanno presentato nella seduta della camera del 17 settembre una interrogazione parlamentare (3-00662) a risposta orale "al Ministro per le pari opportunità, al Ministro degli affari esteri" in merito allo svolgimento della conferenza internazionale contro la violenza sulle donne (Roma 9-10 settmbre).
Nell’interrogazione si premette che "nel mondo e nel nostro Paese numerose associazioni e centri anti-violenza sono impegnati, quotidianamente ed attivamente, contro la violenza su donne e minori ed a sostegno delle donne che hanno subito violenza, prevalentemente con le proprie risorse e attraverso centinaia di volontarie; tali esperienze rappresentano una straordinaria risorsa per il paese nella battaglia contro la violenza sessuale". si ricorda poi che " si sono moltiplicate in questi giorni le proteste di numerose associazioni del settore, di carattere nazionale e presenti in maniera capillare sul territorio italiano, che hanno accusato i promotori di non essere stati invitati alla «Conferenza internazionale sulla violenza contro le donne»; va citata, in merito, la dura presa di posizione dell’Udi (Unione Donne in Italia) un’associazione fondata nel 1945 e che ha portato avanti, nel corso degli anni, una serie di battaglie a sostegno dei diritti e della tutela dell’universo femminile. ...Secondo quanto si apprende da organi di informazione «l’Unione Donne in Italia non è stata ammessa, nonostante la richiesta di accredito, alla Conferenza Internazionale sulla Violenza Contro le Donne». «Questa gravissima e non casuale esclusione - hanno commentato a mezzo stampa i rappresentanti dell’associazione - è il frutto di una mirata manovra politica, tendente a delegittimare e nascondere agli occhi dell’opinione pubblica, soprattutto femminile, l’azione di quelle forze politiche extrapartitiche che, come Udi, sono presenti e attive sul territorio nazionale»" Inoltre: "l’Associazione Nazionale D.i.Re contro la violenza (Donne in Rete contro la violenza) Onlus attiva fin dall’anno 1993 in difesa ed estensione dei diritti delle donne, presente in oltre 50 Centri Anti-violenza sul territorio nazionale, ha reso noto di non essere stata invitata alla Conferenza internazionale sopracitata. Una esclusione, hanno rimarcato sia i responsabili dell’associazione a livello nazionale sia molti responsabili dei centri anti-violenza locali, effettuata nonostante D.i.Re abbia interagito con il Dicastero per le pari opportunità consegnando al Ministro Carfagna «l’elaborato per un Piano Nazionale contro la violenza alle donne»."
Con l’interrogazione si vuole sapere "quali siano le reali motivazioni che hanno portato all’esclusione dalla «Conferenza internazionale sulla violenza contro le donne» delle associazioni sopracitate e se intenda verificare se anche altre associazioni siano state coinvolte da questa esclusione; quali iniziative intenda intraprendere affinché venga esplicitata pubblicamente la motivazione di tale esclusione, dalla Conferenza sopracitata che avrebbe dovuto, al contrario, valorizzare l’esperienza di tutte le componenti associazionistiche e sociali impegnate da anni a difesa dell’universo femminile. "
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lunedì 21 settembre 2009

La violenza di genere, una piaga globale

Convegno "La violenza di genere come piaga globale"

Proposte e percorsi interculturali per battere maschilismo e razzismo
IMOLA - domenica 27 SETTEMBRE 2009
Ore 10-13 e 14,30-17
Palazzo Sersanti, piazza Giacomo Matteotti, 12
MATTINO
10.00-13.00 Saluti dell’Amministrazione Comunale di Imola
Donatella Mungo, Assessora Pari Opportunità
Introduzione Tiziana Dal Pra, Presidente Associazione Trama di Terre
Interventi
Mihai Mircea Butcovan, Scrittore
Stefano Ciccone, Ass. Maschile Plurale
Dounia Ettaib - DARI Associazione Donne Arabe d’Italia
Sumaya Abdel Qader, Portavoce forum delle donne musulmane in Europa
Barbara Spinelli, giurista, autrice di “Femminicidio”
Moderatore:Marco Deriu, sociologo Univ. di Parma, Ass. Maschile plurale
ORE 13,15 BUFFETpresso il Centro Interculturale delle Donne Trama di terre
POMERIGGIO 14.30-17.30
Elaborazione di proposte e piste di lavoro
Lavoro per gruppi con la conduzione di
Daniele Barbieri, giornalista, formatore
Monica Lanfranco, giornalista e formatrice, rivista Marea
Restituzione finale e conclusione
Durante il convegno saranno distribuiti gli attestati finali a coloro che hanno seguito il corso.L’ingresso è libero.

Per partecipare al convegno è necessario iscriversi stampando e spedendo il modulo di iscrizione allegato o il compulando il modulo on line
* * *
Il convegno VIOLENZA DI GENERE: UNA PIAGA GLOBALE rappresenta la tappa conclusiva del corso di formazione per giovani animatori sociali di associazioni e comunità finanziato dal Dipartimento per i Diritti e le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, tenutosi a Bologna, Imola, Reggio Emilia e Rimini nei mesi di Giugno, Luglio e Settembre 2009.
Formatori e formatrici coinvolti:
Daniele Barbieri, giornalista, formatore
Tiziana Dal Pra, associazione Trama di Terre
Marco Deriu, sociologo, Università di Parma; Associazione Maschile Plurale.
Adel Jabbar, sociologo, Studio Res, Trento
Monica Lanfranco, giornalista e formatrice, rivista Marea
Igiaba Scego, scrittrice
Barbara Spinelli, giurista - Giuristi Democratici
Rappresentanti territoriali delle Case delle Donne per non subire Violenza
Il progetto ha cinvolto giovani uomini e donne di età compresa tra i 20 e i 35 anni, italiani e stranieri, interessati ad approfondire il tema della violenza di genere – in particolare contro le donne – nelle società contemporanee e ad impegnarsi attivamente ad un lavoro di diffusione di una nuova cultura della nonviolenza nelle relazioni tra i sessi ed in particolare nelle relazioni affettive, di coppia e famigliari.
Lo scopo del corso è stato promuovere un lavoro di formazione e preparazione in cui i giovani uomini e donne sono considerati anzitutto una risorsa per l’educazione tra i pari e per la diffusione di una cultura nonviolenta tra i gruppi, le associazioni e le diverse realtà giovanili.
Il progetto è partito dalla consapevolezza che la piaga della violenza – fondamentalmente maschile - contro le donne e contro gli omosessuali è un fatto presente in misura minore e maggiore in tutte le società e in tutte le culture e dunque va affrontato innanzitutto come una “problematica transculturale”. Questo significa rintracciare le comuni origini culturali patriarcali di questa violenza e riconoscere le radici di misoginia o di omofobia presenti a diverso titolo nelle differenti società e tradizioni culturali. L’impostazione interculturale può servire sia per mettere in luce e riconoscere le concezioni e le pratiche violente presenti nelle diverse tradizioni e comunità, sia per rintracciare nelle diverse culture quegli elementi e quei modelli sociali e generazionali positivi che possono aiutare a contrastare le mentalità e le dinamiche della violenza e supportare invece la costruzione o ricostruzione di un clima di valorizzazione delle differenze sessuali, culturali, intergenerazionali.
Attività e temi trattati:
La complessità e l’articolazione della violenza di genere in tutte le sue componenti (fisica, psicologica, sessuale, economica, strutturale) e direzioni (verso donne, uomini, bambini, omosessuali, transgender, orizzontale e fra pari, verticale, famigliare e intergenerazionale).
I modelli di genere tradizionali e la violenza degli stereotipi
L’uso del linguaggio sessuato come abilità contro la violenza verbale
Rappresentazioni e concezioni delle relazioni di coppia e famigliari nelle diverse culture
Le relazioni uomo donna nelle diverse tradizioni religiose: ricchezze, risorse, rigidità, stereotipi, ambivalenze
L’intreccio tra patriarcato e fondamentalismo religioso
Il gioco degli specchi stereotipi, pregiudizi, fraintendimenti nel confronto interculturale
Tv, cinema, letteratura, pubblicità e rappresentazioni sociali: modelli negativi e positivi
La democrazia degli affetti: le trasformazioni delle relazioni tra i sessi nelle società contemporanee
Coppie e famiglie miste: ricchezze e difficoltà
Famiglie arcobaleno: la necessità di guardare oltre l’eterosessualità

giovedì 17 settembre 2009

Sanaa, una di noi

Sanaa, una di noi.
Uccisa perché libera.
di Barbara Spinelli
L'Altro, 17.09.2009
La forza di rompere le catene e scegliere la propria felicità ha un prezzo, che ogni donna rischia di pagare quando prende in mano il timone della propria vita.
Che si tratti di scegliere di amare un uomo che odora di altri profumi o prega un altro dio, che si tratti di lasciare un uomo che soffoca le nostre aspirazioni nella tomba della quotidianità della fede che porta al dito, che si tratti di volere un figlio sapendo che quello stronzo che ci ha assunte userà quella lettera in bianco che ci ha fatto firmare stroncando la nostra carriera, che si tratti di voler diventare velina costi quel che costi, quando una donna decide e afferra in mano la propria esistenza, spesso paga un prezzo troppo alto, un surplus di sofferenza, di morte, fisica, psicologica e sociale, “in quanto donna”.
Femminicidio. La prima causa di morte per le donne nel mondo, in Italia. La prima causa di infelicità. Femminicidio: ogni pratica sociale discriminatoria o violenta, rivolta contro la donna “in quanto donna”, nel momento in cui la stessa sceglie di autodeterminarsi e di non aderire passivamente al ruolo sociale scritto per lei dalla società patriarcale (brava madre, moglie, figlia, oggetto sessuale), posto in essere col fine di annientarla fisicamente, psicologicamente, nella sua libertà e posizione sociale.
Sanaa era una di noi.
Quello che ci accomuna tutte è che prima o poi, in qualche forma, ci troveremo a dover combattere, faccia a faccia con l’odio di un maschio incapace di accettare la nostra capacità di scegliere in autonomia cosa fare della nostra vita, del nostro corpo.
Noi lo sappiamo, che il resto -colore della pelle, religione, depressione, passione, disoccupazione- è solo una giustificazione apparente di questo odio, la circostanza in cui esso si manifesta, non certo la causa fondante.
Sanaa uccisa prima di tutto perché ha disobbedito a suo padre. Ha pagato con la vita. Come Irene, uccisa dal padre in agosto perché non gli piacevano le sue amicizie e le sue serate a base di eroina. Come la figlia di Giorgio Stassi, che in maggio si è vista ammazzare da suo padre il ragazzo perché non voleva che si vedessero. Come Sabrina, che in aprile ha visto il padre Pier Luigi Chiodini abbattere a sprangate il ragazzo che lui non voleva per lei davanti ai suoi occhi. Qualche nome, per non dimenticare. Perché è comodo rimuovere facce, nomi, storie di altre di noi che hanno pagato con la vita le loro scelte di libertà, o l’incapacità di liberarsi da uomini che le opprimevano.
Se è facile riconoscere il razzismo, sembra che ci sia un impegno collettivo per rimuovere l’esistenza del sessismo.
Facile parlare di omicidi culturali, guerra di religione, e ignorare sistematicamente che dietro ogni donna morta per amore, o per religione, c’è un uomo che l’ha uccisa convinto che lei non avesse diritto di scegliere da sola.
E’ violenza di genere, che trova la sua causa nel mancato riconoscimento da parte dell’assassino del fatto che quella donna che ha davanti non è una sua appendice, un essere sottoposto al suo volere, ma è una Persona la cui dignità e libertà di scelta va rispettata. Una Persona con cui mettersi in relazione, non da correggere, proteggere, educare o punire.
Non importa se gli uomini dicono che ci ammazzano per amore, per vendetta, per onore, o per giustizia divina.
Non importa se a chi governa fa comodo strumentalizzare queste giustificazioni per stringere la morsa del controllo sociale e portare avanti politiche securitarie.
Che lo facciano per forza di numeri, ma non con la nostra connivenza, non in nostro nome.
Noi ci siamo per ribadire che la nostra vita e la nostra libertà di scelta hanno un valore assoluto, sempre.
E che non ci devono essere giustificazioni per nessuno: né per il padre geloso né per il padre fondamentalista.

lunedì 14 settembre 2009

Speciale G8/ Le video interviste

Guarda su Donna Tv lo Speciale sulla Conferenza Internazionale sulla Violenza Contro le Donne !

Intervista a:

- NAJAT M'JID MAALA, Relatrice Speciale del Consiglio dei Diritti Umani dell'ONU per la Prostituzione Minorile e la Vendita dei Bambini
- XUE XINRAN, giornalista, Cina
- MANDA ZAND ERVIN, fondatrice e Presidente dell'Alleanza delle Donne Iraniane
- NASIMA RAHMANI, Coordinatrice Programma ActionAid per i Diritti delle Donne in Afghanistan
- SHADA NASSER, Avvocata, Yemen

su http://www.donnatv.it/

Sempre sul G8. Napolitano per i diritti, Mara per lo show.


Napolitano prende posizione contro la violenza sulle donne, ma soprattutto contro omofobia e xenofobia
di Laura Eduati
Liberazione, 10.09.2009

Al primo G8 dedicato agli abusi di genere, Mara Carfagna stupisce: «Siamo qui per la lotta e la vittoria e non per la sofferenza e la vittimizzazione». Franco Frattini, orgoglioso di avere organizzato il convegno, promette di promuovere una moratoria delle mutilazioni genitali femminili. Giustissime battaglie di principio che però stridono con l'impianto generale del summit: relatrici e relatori che parlano senza proporre una soluzione e che, nella maggior parte dei casi, provengono da Paesi in via di sviluppo. L'impressione è quella di una riunione terzomondista, dove attiviste coraggiose descrivono come è difficile essere donne lontano dall'Occidente. E mancano gli esponenti delle nazioni che compongono il G8, molti si chiedono se questo non sia dovuto all'imbarazzo nei confronti di un governo che proprio in questi mesi sta dando un pessimo esempio sul rapporto tra uomo e donna. Assente anche il cuore del movimento femminile italiano. L'Udi si indigna: aveva chiesto l'accredito, poi negato dal ministero per le Pari opportunità. E manca, infine, la prospettiva di genere ovvero l'accusa alla cultura patriarcale.
Mara Carfagna è perentoria: «Siamo qui per la lotta e la vittoria e non per la sofferenza e la vittimizzazione». Donne battagliere e non vittime: la ministra sorprende specialmente le rappresentanti, poche, dei movimenti.La prima riunione del G8 dedicata alla violenza di genere è organizzata dall'Italia, i malevoli dicono per rimediare alle scarse risorse dedicate alla cooperazione (appena sopra lo 0,1% del Pil) e al fondo delle Nazioni unite per le politiche di promozione femminile (Unifem): appena 500mila euro contro i 14 milioni della Spagna e 16 della Norvegia. Franco Frattini, che ospita il convegno alla Farnesina, promette di promuovere una moratoria delle mutilazioni genitali femminili alla prossima assemblea generale dell'Onu il prossimo 25 settembre. «Sulle violenze contro le donne nessuno è senza peccato», prosegue il responsabile degli Esteri.Tuttavia è l'intervento di Napolitano a dare la sostanza del summit. In Italia, argomenta il presidente della Repubblica, accadono ancora «fatti raccapriccianti» legati agli abusi nei confronti delle donne. Poi allarga la prospettiva e cita la Costituzione e la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea che mettono al bando ogni discriminazione: «La lotta contro ogni sopruso ai danni delle donne, contro la xenofobia, contro l'omofobia» sono accomunate nella battaglia contro l'intolleranza. E' chiaro il riferimento alle violenze che recentemente hanno colpito la comunità omosessuale italiana, e per questo Paola Concia (Pd) - unica parlamentare del centrosinistra presente in sala - legge nelle parole di Napolitano un'autorevole mano in aiuto del popolo gay. Non è poco.Eppure, nell'impostazione del convegno che oggi dovrà produrre un documento finale, scompare la condizione delle donne in Italia tranne il problema di integrazione delle immigrate di fede musulmana. Fiamma Nirenstein ricorda che il delitto d'onore è scomparso dal codice penale italiano soltanto nel 1981, ma ricorda soprattutto che in Francia la poligamia dilaga e i talebani impediscono l'emancipazione delle donne afghane. Carfagna spiega di avere voluto coinvolgere nella discussione donne provenienti da Paesi in via di sviluppo: iraniane, afghane, marocchine, tunisine, nigeriane e così via. I numeri sono impressionanti: centoquarantamilioni le donne che nel mondo soffrono di abusi fisici, psicologici, sessuali. La quasi totalità pensa che sia normale venire picchiate dai maschi della famiglia, in Italia il 93% delle violenze non vengono denunciate e il 67% sono perpetrate dal partner. Nel pot-pourri delle cifre entrano le spose bambine (8-14 anni): sessanta milioni.Mancano totalmente, e non sembra un caso, relatrici dei paesi che fanno parte del G8. E' vero, la ministra sottolinea che nessun contesto può dirsi immune dalla violenza contro le donne; ma la sensazione palpabile è quella di assistere ad un convegno terzomondista privo di contenuto e proposizioni, e colmo invece di testimonianze di donne coraggiose - avvocate, giornaliste, vittime della tratta, donne di governo - che raccontano la difficile condizione femminile lontano dall'Occidente.C'è Xue Xinran, giornalista cinese e autrice di saggi, che percorrendo le campagne scoprì le donne senza nome: nessuno si preoccupa di affibbiarne uno alla nascita perché non contano nulla. C'è la giudice afghana Marzia Basel che tace sulla recente legge che impone la sottomissione sessuale delle mogli ma annuncia la prossima approvazione di una normativa che punirà le violenze di genere in un territorio dove il 98% delle donne ne è vittima. C'è la ministra per l'Uguaglianza del governo spagnolo, Bibiana Aìdo Almagro, che illustra i successi della legge quadro voluta da Zapatero per combattere gli abusi coniugali. E c'è Isoke Aikpitanyi, ex vittima della tratta e fondatrice delle "Ragazze di Benin City", piange quando ricorda che pagare una donna costretta alla prostituzione è stupro e che la morte di una schiava del sesso è considerata meno importante della morte di una donna bianca e libera. Carfagna la abbraccia, commossa.Poche, pochissime le organizzazioni femminili. Il movimento. Nessuno di loro fa parte della lista dei relatori, quasi interamente riservata a esponenti e giornalisti del centrodestra. In sala Telefono Rosa, Aidos, maschile plurale. L'Udi (l'Unione donne italiane) ha espresso stupore e indignazione per l'esclusione: avevano chiesto l'accredito, negato poi dal ministero per le Pari opportunità. "Questo convegno è inutile", sbotta Daniela Colombo, presidente dell'Aidos: "Le invitate sono in ordine casuale, non vedo una proposta concreta. La violenza non si batte coi braccialetti bianchi", dice riferendosi al gadget offerto agli invitati. E, soprattutto, "manca una prospettiva di genere". Perché nelle sessioni si parla delle donne, e mai degli uomini. Si parla degli abusi, e mai degli abusatori. Carfagna vanta l'approvazione della legge sullo stalking, nessun accenno alla proposta governativa sulla prostituzione. Crea imbarazzo, nell'attuale clima politico italiano che ruota attorno alle inchieste sul premier e sulle donne vendute a palazzo Grazioli L'immagine della donna veicolata dalle televisioni, il modello di rapporto tra uomini e donne nell'Italia odierna: questo è il sottaciuto della conferenza, e non bastano le parole di una ministra che comunque spera che questo appuntamento nel quadro del G8 diventi annuale. Per qualcuno, come Joanne Sandler dell'Unifem, meglio bandire il pessimismo: "E' la prima volta che il G8 parla di violenza contro le donne: non sottovalutiamolo".

sempre sul G8

Schizofrenia al governo
di Ida Dominijanni
Il Manifesto, 11 settembre 2009

La schizofrenia del potere, o forse l'inventiva del più grande sceneggiatore di Hollywood, ha suggerito al governo italiano di allestire a Roma un setsurreale dove, Mara Carfagna officiante, si levano alti lai contro laviolenza sulle donne, si taglia il nastro inaugurale di «una nuova epoca dicooperazione internazionale» contro la violenza sulle donne, si chiamano araccolta gli uomini giovani contro la violenza sulle donne, nelle stesse orein cui piovono pietre sull'harem a pagamento di un uomo anziano, sui sistemidi reclutamento di escort e quasi-escort bionde e brune di un imprenditorecinico, sui mezzi di circolazione di coca e altre sostanze destinate arendere più eccitante il «divertimento dell'imperatore» che muove come ilsole tutto il sistema.Pare di sognare e invece no, è proprio vero. E' proprio lei, Mara Carfagna,la più favorita fra le favorite di corte, una che in questi mesi non hatrovato una sola glossa da fare alla mercificazione femminile praticata persistema dal suo capo, a pontificare che «ogni atto di violenza contro ledonne è un crimine». Ed è proprio lui, «il miglior presidente del consiglioin 150 anni di storia», a ghignare per l'ennesima volta la sua ammirazioneper l'altra metà del cielo, il suo odio per la disinformazione dei giornali,le sue minacce contro le testimoni dirette e parlanti dei suoi misfatti.C'è la violenza reale e c'è la violenza simbolica. E se è vero che ogni attodi violenza contro le donne è un crimine, violento e criminale è iltrattamento - linguistico, mediatico, sessuale - che il premier e i suoimezzani, da Tarantini a Ghedini a Feltri a tutti quelli che tacciono eacconsentono, riservano al gentil sesso. O forse pensano che a tutte noisembri di ricevere dei bouquet di rose quando li sentiamo parlare diutilizzatori finali, veline ingrate, «ragazze e coca come chiave di accessoal successo»? Riesce, il miglior presidente del consiglio degli ultimi 150anni, ad associare la parola «violenza» all'uso e abuso del corpo femminilenelle sue televisioni, o ritiene che anche quello sia un sincero omaggio al«genere», come Tarantini chiama il suo parco-escort, e se non ci riesce puòdargli una mano la sua ministra alle pari opportunità? Potrebbe per cortesiala sottosegretaria Eugenia Roccella smetterla di bluffare sulla libertàfemminile osannandola quando le conviene, cioè sulle escort che sarebbero«libere di disporre del proprio corpo traendone dei vantaggi», ecalpestandola quando non le conviene, cioè su aborto, procreazioneassistita, RU486 e simili? Potrebbe l'onorevole Souad Sbai buttare un occhiosul relativismo etico del suo leader di riferimento invece di farsiossessionare da quello del multiculturalismo? Oppure pensano tutti e tutte,il capo e la sua corte dei miracoli, che «l'altra metà del cielo» siaschizofrenica quanto loro, pronta a farsi imbonire oggi da una busta conmille euro dentro, domani da uno spot sullo stalking?

http://www.ilmanifesto.it/archivi/commento/anno/2009/mese/09/articolo/1419/

Sempre sul G8.

Condivido sul blog le osservazioni Maria Grazia Negrini
Quando ho saputo della Conferenza, non ho avuto dubbi. Ho chiesto l’accredito al Dipartimento delle Pari Opportunità subito concesso in base alla mia presenza nella CNPO per tre mandati, come responsabile del Gruppo Violenza contro le donne e tratta degli esseri umani. E’ stato un segno di democrazia? No, semplicemente ero una persona singola, con una notevole esperienza alle spalle, non facevo paura a nessuno. Non e stato così per le Associazioni di donne organizzate, come l’Unione Donne d’Italia, il CIF, i numerosi Centri antiviolenza italiani, per Dire, la rete che associa i Centri antiviolenza in tutta Italia cui è stato negato l’accredito. Tanto per non fare nomi. La protesta si è fatta sentire negli organi di stampa perché la scelta è stata quanto meno indecente. Ho scelto di andare per avere la possibilità di incontrare donne che provengono da realtà diverse dal nostro occidente ricco e condividere con loro le informazioni, le osservazioni, le riflessioni e le emozioni che nessun mezzo d’informazione avrebbe potuto raccontarmi. L’esperienza di femminista (non mi vergogno a pronunciare questa parola oggi), mi ha insegnato che le donne “istituzionali” che appartengono ai paesi che noi definiamo ” più poveri” o “in via di sviluppo”, hanno nella loro storia battaglie, riflessioni, esperienze che arricchiscono noi donne europee, anche se spesso non le condividiamo completamente. E voglio rubare ciò che Lea Melandri scrive a proposito del “silenzio delle donne” nel suo articolo su L’ALTRO (8 settembre 2009), quando afferma che “per fare rinascere un movimento delle donne ci vogliono, da parte dei mass-media ma soprattutto dalle donne che vi hanno accesso, un’attenzione e un impegno diverso, fatto di ascolto, reciprocità, incontri, scambi anche conflittuali di opinioni.” E’ questo concetto che mi ha fatto andare a Roma.E non ne sono rimasta delusa. Quelle donne: saudite, iraniane, cinesi, nigeriane, israeliane, somale, yemenite, senegalesi, tanzaniane, afgane, irakene, e le molte altre presenti pur appartenendo a quelle che noi definiamo “donne istituzionali”, sono portatrici di storie di vita segnate da soprusi, negazione dei diritti umani, segregazioni, mutilazioni sessuali, omicidi, violenza sessuale, traffico sessuale, ecc. Mi sorge immediatamente un primo interrogativo. Come mai in questi paesi queste stesse donne oggi sono a dirigere Ministeri, Dipartimenti, luoghi di decisione politica e di potere, mentre nel nostro paese, nonostante il lavoro indefesso che le donne italiane portano avanti da 40 anni attraverso la produzione ininterrotta di libri, riviste, associazioni, centri di studio, archivi, centri antiviolenza, mobilitazioni di piazza, documenti collettivi, le donne non trovano spazio all’interno dei poteri decisionali se non sono asservite ad un partito? E’ una domanda pleonastica, che le donne dei movimenti da anni si chiedono, senza riuscire ancora a trovare una risposta adeguata e consona. Sono ritornata con un bagaglio di forza e determinazione che consapevolmente sapevo che queste donne mi avrebbero trasmesso. Qui non mi soffermerò su quello che la Ministra Carfagna ha affermato nel suo intervento di apertura e di chiusura della Conferenza. A parte troverete i suoi interventi al completo, e quindi i giudizi li lascio a chi legge. Solo una questione mi preme rilevare. Al di là della novità che per la prima volta il G8 prende in considerazione la violenza alle donne, e chiama in causa anche i maschi perché la questione li riguarda da vicino, e permette ad un uomo di intervenire fuori dal programma, e si tratta di un rappresentante dell’"Associazione Maschile Plurale”, i contenuti sono quelli che da anni tutte le donne nominano. Nel documento non si fa cenno alle disponibilità economiche per combattere la violenza in questo paese, non si indica quali nuove strategie il governo intende promuovere in futuro. Come sempre saremo, se ci riusciamo, noi donne ancora una volta, a farci carico e subire questo ignobile reato spartendoci le briciole (quando ne rimangono) delle varie finanziarie. E’ importante varare nuove e più avanzate leggi, ma se non si accenna al loro finanziamento, tutto rimane sulla carta. Però fa effetto. Ed è qui che a mio parere sta la novità. Leggendo i quotidiani questa mattina, ci rendiamo conto che molto spazio è dato alla gestione della Conferenza. E ciò che riportano è vero. Questa Ministra, coadiuvata evidentemente da uno staff intelligente ed efficiente, ha saputo tenere inchiodati alla sedia, per due giorni consecutivi, donne e uomini presenti, senza mai lasciare la sala, senza perdere nulla di ciò che era riportato, senza mai distogliere l’attenzione su ciò che era affermato. Un segno di grande efficienza. Questa immagine credo sia importante da valutare. Per mesi si parla di governo cialtrone, di escort e di veline, di scandali di palazzo che vedono le donne come strumenti di piacere dei nostri uomini politici. Carfagna ha realizzato quello che Ida Dominijanni chiama nel suo articolo “Schizofrenia al governo” (Il Manifesto 11 settembre 2009).E’ proprio Carfagna che leva la voce dichiarando che “ogni atto di violenza contro le donne è un crimine”. E lo dice anche bene. Lo afferma con grande effetto, e ci rende tutte/i dimentichi di ciò che accade e sta verificandosi in Italia.Questa è una mossa pericolosissima: non per il Governo, che ne esce in bella facciata, ma lo è per la sinistra, tragicamente assente dalla Conferenza, perché impegnata nelle battaglie intestine dell’elezione del proprio leader, dove, fra l’altro, la voce delle donne è in sostanza assente. La storia ci insegna che, anche i governanti più cialtroni, hanno saputo rappresentarsi in modo decente usando strumenti efficaci alla propaganda. Alla Conferenza ho avuto questa sensazione. Questo processo sta accadendo anche in Italia. Allora come uscire da questa impasse? Dobbiamo attendere il nuovo leader del PD, o dobbiamo ricominciare a ridiscutere fra noi donne, a muoverci per creare una rete in grado di contrastare i modi che questo governo usa per mantenere non solo la maggioranza, ma un consenso indiscusso? Penso si debba veramente tornare con le donne, come pure con gli uomini riflessivi, a riprendere in mano e a manifestare apertamente le ingiustizie che attraversano il nostro paese, dalle leggi contro i clandestini, all’odio palese e violento per le/i diversi, il dispregio e la cancellazione del sesso femminile come soggetto di diritto, e rivendicare la nostra libertà femminile per contrastare quello che viene definito giustamente “postpatriarcato” attraverso un “postfemminismo” da ricompattare assieme alle nuove generaioni di donne e uomini.
E scusate se termino con una citazione che avete letto in questi mesi da tutte le parti ma che io ritengo non superata ma rappresentativa di ciò che ho cercato di dire. Berlino, 1932 Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, ed io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c'era rimasto nessuno a protestare.

Maria Grazia Negrini

domenica 13 settembre 2009

G8:la violenza sulle donne è pure qui.

da "L'altro" del 11.09.2009
di Barbara Spinelli

Un evento destinato ad essere epocale, il primo G8 sulla violenza contro le donne, disertato da first ladies e compagni, e relegato alla competenza settoriale delle ministre di famiglia. Neanche un messaggio di saluto o di buon auspicio dai grandi otto, indice forse di quanto davvero ci fosse bisogno di organizzare questo evento, se non altro per reclamare la necessità di discutere delle strategie di contrasto alla violenza di genere all'interno del G8 stesso, posto che comunque anche questo è uno degli obbiettivi del millennio che dovrebbe interessare i Grandi. Lo ha sottolineato tra gli applausi, Nasina Rahmani, coordinatrice di Action Aid Afghnistan: “La prospettiva di genere pervade tutti i temi, ma è stata disdegnata dal G8, anche se tutti i temi trattati in quella sede riguardavano in primo luogo le donne, che rappresentano più della metà della popolazione mondiale”.
Pure in assenza di first ladies in giro per shopping, la femminilizzazione dell'evento nel migliore italian style era palpabile: stava nel tocco di classe degli scialli, braccialetti e fiori bianchi con cui la Ministra ha omaggiato le relatrici. Poche le studiose italiane e le ONG invitate, pesava l'assenza in sala dei centri antiviolenza e dell'UDI. Corpose le delegazioni governative africane e mediorientali. Assenti rappresentanze di donne centro e sudamericane ed australiane.
Che si trattasse di una grande sceneggiatura ad uso e consumo dei media nazionali ed internazionali si sapeva: questa Conferenza è funzionale sia ad una ricandidatura nel Consiglio dei diritti umani dell'Italia, sia ad ottenere visibilità e consensi dalla comunità internazionale in vista del deposito, da parte del Governo, entro fine anno, del Rapporto periodico al Comitato per l'applicazione della Convenzione ONU per l'Eliminazione di ogni forma di discriminazione (CEDAW). Tuttavia, non era così scontato che il Governo assumesse come propri i contenuti che da sempre l'ONU propone in tema di violenza di genere come violazione dei diritti umani, visto il presupposto pubblicitario della rosa bianca, declinazione per immagini della retorica familista e protezionista che da sempre ha caratterizzato l'approccio della Carfagna.
E invece Mara ha stupito tutti, nominando addirittura il patriarcato ed andando ben oltre quelli che sono gli indirizzi ONU, con un approccio a tratti marcatamente femminista. Ad ascoltarla dal vivo, con quel suo tailleur dal girocollo mozzato, gli occhioni grandi grandi, fissi, e il fard marrone sul viso pallido che le disegnava quel triangolo alieno sul volto, con la sua vocina atona, c'era da rimanerci fulminati: “La violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani grave e diffusa, che tocca la vita di innumerevoli donne e che è un ostacolo al raggiungimento dell'uguaglianza, allo sviluppo e alla pace in tutti i continenti. Non è un tema politico, non è una battaglia che si può combattere solo con le leggi, con la polizia, con le alleanze politiche. E' piuttosto una voragine scura inflitta nei secoli, un taglio nell'anima dell'uomo stesso (…) Non c'è Paese, no c'è universo sociale che possa dirsi alieno dalla sciagura della violenza sulle donne (…) Noi non siamo qui per lamentare la condizione femminile (…) Noi vogliamo portare alla luce e lottare, usando contro il problema globale un'arma globale (…) Non siamo qui solo per denunciare, per raccontare, per piangere ma per combattere”...
I contenuti del suo discorso di apertura mi hanno lasciato perplessa. Lo sviluppo della Conferenza ha poi confermato la fondatezza dei miei dubbi. Consegnati i discorsi introduttivi alla stampa, dunque proiettata urbi et orbi la figura di bianco agghindata della Mara paladina dei diritti umani, i lavori della Conferenza hanno rivelato la schizofrenia della messinscena mediatica, mostrando i contenuti reali delle politiche di pari opportunità veicolate dal governo italiano: approccio colonialista e di stampo repressivo per quanto concerne i diritti delle donne migranti, assenza di una visione d'insieme dello stato di autodeterminazione delle donne italiane, incapacità di cogliere gli obbiettivi prioritari nelle politiche nazionali, negazione del ruolo cruciale dei centri antiviolenza e dell'associazionismo femminista nella lotta quotidiana alla violenza di genere.
Da segnalare l'attenzione delle relatrici alla lotta alla tratta: l'intervento di Isoke Aikpitanyi ha zittito la platea, e le sue affermazioni durissime come pietre hanno lasciato il segno (“ogni donna immigrata stuprata salva una donna bianca dallo stupro, è sempre più facile usare violenza contro chi non esiste, non nha diritti”, “la tratta è come uno stupro a pagamento”), così come il suo momento di commozione, subito trasformato in show per le doti consolatorie della Ministra.
Al finire della prima giornata, nel susseguirsi incessante di quaranta relatori (di cui una o due Ministre -spesso della Famiglia- per ogni Panel), pesava come un macigno l'assenza di voci italiane capaci di pronunciarsi sullo stato delle donne in Italia. Se Giuseppe Losasso di “Smile Again” ha parlato del progetto di chirurghi plastici italiani di ricostruzione del volto di donne pakistane acidificate, patetici sono stati i tentativi di Alessandra Necci (consigliera del presidente del senato) di raccontarci nel panel sull'accesso all'educazione come le donne italiane si sono conquistate il diritto all'istruzione partendo dall'antica Roma ad oggi (e saltando passaggi significativi come quello del femminismo) e quello di Simonetta Matone nel panel sul ruolo del diritto internazionale di esporre (tema scelto a piacere?) il dramma della sottrazione al genitore italiano del minore da parte del genitore straniero.
Tolta la dichiarazione introduttiva che la violenza contro le donne riguarda ogni cultura e paese, i compatrioti intervenuti si sono ben guardati dal fornire un quadro di insieme sullo stato dei diritti delle donne nel nostro Paese, offrire dati statistici, illustrare gli interventi legislativi in materia. Zero autocoscienza.
Al contrario, numerosi sono stati gli interventi di donne e uomini italiani pronti a puntare il dito contro le barbarie delle mgf e l'intollerabile schiavitù in cui l'islam relega le donne musulmane: il multiculturalismo fa male alle donne! Un eco che si ripete, anche da parte di attiviste americane ed europee, un susseguirsi di rigurgiti coloniali, che ci vedono ancora, nonostante il tramonto di Bush, pronti a esportare democrazia per le donne degli altri, lasciando le nostre a fare gli angeli del focolare tra lividi e mazzate, alla mercé di folli e ignoranti. Patetica Souad Sbai, secondo la quale chi bruciava reggiseni in piazza negli anni settanta si dovrebbe oggi vergognare di tollerare il burqa, e non da meno Carlo Panella, secondo il quale solo l'unica religione che rende schiave le donne è quella musulmana, per cui va imposta per legge una versione dell'Islam gender oriented o non si sconfiggerà mai la violenza contro le donne. Argomentazioni fondamentaliste, che, per la quantità degli interventi di condanna del mondo musulmano, hanno trasformato i lavori della conferenza in un proclama strumentale a ribadire che la violenza sulle donne riguarda comunque soltanto gli altri, e nello specifico i musulmani, considerazione strumentale per ribadire la legittimità del colonialismo culturale occidentale e dunque di politiche securitarie ed escludenti verso l'immigrazione proveniente da Paesi indesiderati.
Fortunatamente, non sono mancati interventi chiarificatori, che hanno riportato il dibattito entro i giusti binari: tra questi va segnalato quello applauditissimo dalle ong di Elahm Manea, intellettuale e scrittrice araba, che ha ribadito con forza l'incongruenza del dibattito per come si stava sviluppando “Non si tratta di condannare la religione musulmana e rivendicare l'applicazione dei diritti umani come acquis di valori occidentali, ha detto, si tratta di diritti umani, un patrimonio universale che deve essere invocato da ogni donna del mondo per liberarsi ognuna dalla religione o dalla cultura che la opprime. Le donne sono state discriminate da tutte le culture e le religioni, ma gli stati non possono usarle come paravento per evitare di intervenire sulle violazioni dei diritti umani delle donne. Le donne musulmane hanno la forza per rivendicare i propri diritti da sole. Puntare il dito non aiuta a liberarci dalla violenza, ha aggiunto, siamo qui per trovare soluzioni globali per affermare i diritti umani attraverso l'autodeterminzione delle donne”.
Intelligenti anche le osservazioni sul punto di Seyran Ates, avvocata curdo-tedesca, che ritiene giunto il momento che le donne investano l'islam con una rivoluzione sessuale, affinchè uomini e donne possano interpretarlo imparando ad acquisire una volontà libera da ostacoli dogmatici. Come ben diceva la ministra della famiglia del Marocco, stupri e violenze d genere sono gli unici crimini al mondo in cui le vittime vengono socialmente e giuridicamente considerate colpevoli dell'offesa che subiscono. Ecco che allora, suggerisce una attivista di Ni poutes Ni soumises, il primo passo per restituire dignità alle donne è veicolare attraverso la cultura, l'educazione, la sensibilizzazione, il senso del rispetto nei confronti delle Persone, aldilà del genere, orientamento sessuale o etnia di appartenenza.
insomma va riconosciuta la matrice culturale universale del patriarcato, e per smantellarlo bisogna rivolgersi soprattutto agli uomini, perché come giustamente a osservato Zeyno Baran, direttora dell'Hudson Institute Center for Eurasian Policy, nel panel sull'integrazione, è arrivata l'ora di insegnare agli uomini ad usare comportamenti civili e rispettosi nei confronti della donna per insegnar loro cosa distingue la bestia dall'essere umano! Dello stesso avviso l'intervento di Gianguido Pagi Palumbo, di Maschile Plurale, che sottolinea la necessità di una seria presa di coscienza di tutti gli uomini a partire dal capo dello stato e al premier fino al singolo cittadino, perchè alle donne servono uomini nuovi al loro fianco, che si siano interrogati sulla propria maschilità, pena a una lotta destinata al fallimento. D'altronde, faceva notare la Bonino, se tutte le violenze subite dalle donne avessero investito il corpo maschile, se ad essere mutilato fosse stato il loro organo riproduttivo, forse il problema si sarebbe risolto ben da tempo!
La Conferenza si è chiusa nella maniera più onorevole per l'immagine internazionale del nostro Paese, ovvero accogliendo le posizioni più femministe e lungimiranti delle sessioni.
Peccato però, che ancora una volta i diritti umani sono destinati a rimanere lettera morta, se la lotta alla violenza degli uomini contro le donne si riduce all'ennesima dichiarazione governativa di impegno formale.